martedì 21 giugno 2011

Autoironia alla francese

Ecco qua, ci risiamo. L’ennesima fine che mi ha fatto soffrire. E non parlo di uomini, che a quelli là ormai mi ci sono pure più o meno abituata, anche se il bello deve ancora venire, dice mamma. Parlo di donne. Ebbene sì di donne, per giunta francesi. Continuo a subire inesorabilmente il fascino di avvenenti donzelle francesi estremamente autoironiche. O meglio, dei loro libri. Dopo Madame Barbery, è la volta della piccola, dolce Sylvie Testud, attrice francese e autrice di un piccolo capolavoro, che si è permessa di far durare solo centosettantasette pagine. Dico io, centosettantasette pagine. Ma che è?! Le ho divorate alla stessa velocità a cui sono solita divorare le mie porzioni quotidiane di carboidrati e/o legumi. Con la differenza che il mio spirito chiedeva di più, in quantità, di quanto giornalmente richiede il mio stomaco. Mi sono anche detta: non m’importa, arrivo in ritardo al corso di francese, ma devo assolutamente sapere come va a finire. Beh, sono arrivata cinque minuti in anticipo.

A parte le obiezioni di quantità, però, Mademoiselle Testud, sappia che le sono davvero grata, infinitamente grata. Ho fatto un viaggio, senza nemmeno pagare il biglietto, nel fantastico mondo delle pippe mentali. Trattandosi poi di un racconto autobiografico, è tutto vero. Dunque ho letto cose incredibili, che davvero sono successe. E dunque posso ufficialmente dichiararmi sana, o quantomeno fuori di testa, ma in buona compagnia. E anzi, devo dire che a volte, mi sono sentita addirittura sollevata nel leggere le avventure della nostra Sylvie. Ma soprattutto mi sono divertita molto. E se anche non mi sento perseguitata ventiquattrore su ventiquattro sappia, mia cara Sylvie, che la capisco. E non rido delle sue disgrazie. Anzi, per onestà di cronaca l’ho fatto. Sì, un po’ ho riso, ma è colpa sua, che le ha raccontate in un modo esilarante. Però, tornando a noi, posso capire.

Insomma, che male c’è a salire sul tetto perché in casa aleggia una certa fragranza di pane caldo che non dovrebbe esserci, perché non dovrebbe esserci nessuno a riscaldare il pane. Dico io, se una ha paura, ha paura e mica può rischiare di morire accoltellata, o morire d’infarto solo perché salire sul tetto suona strano. Mi permetto solo di dire che probabilmente io avrei avuto più paura di cadere dal tetto, ma poco importa, la paura è soggettiva. Io ho paura di cadere, Sylvie ha paura dell’odore del pane che non dovrebbe esserci e magari qualcuno  ha paura di me e Sylvie, che abbiamo paura di molte cose. Ecco, così funzionano le pippe mentali, sono un circolo vizioso. E in realtà sono profondamente convinta che chiunque, in qualche modo, ne sia affetto. Però ci sono le pappemolle dichiarate, come me e Sylvie, e i finti coraggiosi che nascondono le loro debolezze dietro presunti ragionamenti lineari. Ma si sa, nella mente umana non si viaggia in tangenziale, i sentieri tortuosi sono un passaggio obbligato anche per i più valorosi.

Che poi, pensandoci bene, ingigantire le cose è un’arte. Sicuramente è segno di una sviluppata immaginazione. E con l’immaginazione si scrivono i libri e con i libri si fanno i soldi, ma soprattutto si fanno contente molte persone. Come la storiella del tavolo, che nasce, dal legno, che nasce dall’albero, che nasce dal seme o giù di lì. Insomma, è sempre un circolo, ma stavolta virtuoso. E la storia del coraggio poi! Secondo il teorema di Sylvie, Se il coraggio si potesse misurare dalle dimensioni della paura che lo ostacola, se lo si potesse determinare dall’intensità di ciò che si deve superare, allora mi autoproclamerei la ragazza più coraggiosa che io conosca. Come cavolo avevo fatto a non pensarci prima? E’ come la prima volta che ho letto sul libro di geometria il teorema di Pitagora: semplice, ma non c’avevo mai pensato! Con ciò ringrazio ancora Sylvie e, in suo onore, indico una buonanotte senza libri, che mi aiuti a metabolizzare lo shock di questa nuova fine.