venerdì 20 dicembre 2013

Un buon Non-natale

L'intento era quello di farla suonare più o meno come http://www.youtube.com/watch?v=L8UdmuefTlI. Ma in realtà credo che il risultato sia assai meno melodico e molto più cinico. Però rende bene l'idea, che non è un'idea che in fondo mi dispiace. Fare ironia, talvolta sarcasmo, su giornate un po' così, è solo un modo per non renderle drammatiche. Per farle passare e scorrere, come certi spumanti a Capodanno, che sono troppo secchi, ma che vanno giù in nome della compagnia, col naso tappato e gli occhi strizzati in una smorfia brevemente sofferente ma solidale al comune gaudio.

C'è chi per il vostro, a scelta, Natale o Non-Natale ha fatto, scritto, letto cose meravigliose e merita uno sguardo. Andate a trovare le sempreverdi Giulia e Camilla, alias Zelda, per esempio. E poi ci sono io, che continuo a fare solo casini. E che ogni volta che faccio casini per non soccombere leggo, per rinascere provo a scrivere.

Dal mio canto, anche io voglio provare a fare la mia parte. E voglio farlo per il Non-natale di qualcuno. Parlo dunque in particolare ai più, a seconda dei casi, sfortunati, sfi-ga-ti, tristi, depressi, svogliati, stanchi, anti-social. A chiunque non ama le feste. A chi pensa di non avere motivi per amare in generale. Agli in-si-curi, ai pessimisti, ai delusi. A tutti quelli che ritengano di rientrare nella categoria del non-natalizio-per-scelta-o-per-forza. Lo faccio tradento l'influenza delle maestre di cui sopra. But I wanna be faiga, one day.

Fatevi un favore, leggete da morire. Ogniqualvolta i pensieri, le persone, i fatti, i sentimenti stanno per prendere il sopravvento su di voi, chiudete la porta e aprite il libro. Per darvi qualche spunto e togliervi qualche scusa, io ultimamente ho una relazione affiatata con la genialità di Murakami. 1Q84, mille e passa pagine che sembrano sfiorare il ca-po-la-voro. Ringrazio chi mi ha regalato il terzo volume ignorando che non possedessi i primi due: mi hai tolto molte scuse e tante ore di noia. Per gli amanti della concisione, Murakami normalmente non si perde in troppe chiacchere e vi aspettano una mare di duecento-pagine-massimo, pronte ad allietarvi i pomeriggi o quello che vi pare.
I buoni propositi, poi. Quelli funzionano sempre. Sono un modo per andare avanti e ingannare il tempo. Sono un modo per almeno-provarci, per cominciare. Senza la sveglia alla mattina probabilmente vi alzereste ancora più tardi di quello che riuscite a fare con la sveglia. O se proprio non volete saperne di quelli buoni, i cattivi propositi rimangono sempre una buona idea. Rimpinzatevi, ubriacatevi, divertitevi, make of your own melancholy the pleasure of being sad.

Rinsavite, poi. Tornate a leggere e fate le cose che vi appartengono. Se ciò che fate per sopravvivere non vi appartiene, rendetelo il più interessante possibile, o il meno traumatico possibile. Ma vivete solo per ciò che è profondamente vostro e non dimenticate mai cosa vorreste essere, avere, diventare. Reinventatevi sempre e comunque e rispondete ai cattivi pensieri con la creatività. Tenete impressi nella memoria i vostri modelli da seguire e lasciate che vi parlino a ogni difficoltà. Rendeteli vivi e personali, condendoli con le vostre particolarità. Non dimenticate poi che l'ironia è sempre la cura alle cose più brutte. Come il fard fa sulle gote più pallide, o una cravatta allentata su un petto troppo formale.

Vi auguro un buon Non-natale, ovunque voi siate, comunque voi vi sentiate.


domenica 10 novembre 2013

Behind

Io non lo so cosa mi balla in testa.
Suona quasi bene come chissà cosa bolle in pentola. 
È da perderci tutte le rotelle per la curiosità, da acquolina in bocca, da dita che galoppano nervosamente sul tavolo. Da coltello e forchetta puntati come quando aspettavi le patatine fritte.

Invece poi è tipo bordino di pollo.
O uova sode.
O latte.
Che schifo, insomma.

Comunque, a parte le metafore, nessuna delusione culinaria.

Ho peccato di pigrizia dalla comodità di un letto cantonese, concedendomi la mia trentottesima ora di veglia per crogiolarmi in un curry di patate e broccoli a ritmo di Alanis Morrisette. La mattina dopo mi sono svegliata di soprassalto, come quando sogni di cadere, e mi son resa conto di non aver ancora aperto le tende per guardare fuori. Una tragedia, insomma. Un segnale chiaro che c'è qualcosa che non va.

Comunque poi le ho aperte e c'ho bevuto un'intera tazza di tè verde di fronte. Un grattacielo con una scritta blu in cinese è stata la giusta punizione. Ho quasi sentito i vetri sghignazzare, ehi tu beccati questa! 




Senza nemmeno osare look troppo presentabili, ho abbozzato una treccia e deciso di capire cosa ci fosse dietro quel grattacielo.  C'era una scuola in una piccola collina, e delle adolescenti che giravano in minigonna e calze al ginocchio. Ho camminato per un'altra ora senza meta precisa ma con un occhio al grattacielo bacchettone, giusto per non perdermi. Ho riconquistato il panorama perduto. Poi ho mangiato un dragon fruit color porpora e sognato sushi e tempura che poi mi sono concessa di ritorno in terre arabe. 

C'è qualcosa di instancabile nella cucina giapponese. 
È un po' come i Beatles, non passa mai. 











mercoledì 30 ottobre 2013

Non lo so.

Ma quanto pesano, i dubbi?

Oggi ho fotografato un tramonto dopo un po' di tempo. E per farlo ho dovuto appoggiare la busta che portavo in mano. Poi l'ho ripresa e ho pensato, ma quanto pesa? La stessa cosa succede con i dubbi, ma non te ne accorgi, finché non li appoggi, almeno per un attimo. Per una notte, per esempio. E provi a trarre delle conclusioni.

Io sono fatta di carne, ossa, capelli ricci e dubbi. Mangio frutta, verdura, cereali e confusione. I legumi li sto un po' dimenticando, ultimamente. Sarà che ci vuole troppo a cucinarli e quelli in barattolo, lo sapete.

I dubbi invece, non sono mai in barattolo. Sono sempre di ottima qualità, di quelli che non è semplice lasciarli al posto loro, in scaffali polverosi. Sono ben elaborati, come romanzi, piuttosto che cruciverba. Sono quasi un passatempo.

Il tempo, poi. Continua a passare senza rallentare nemmeno un po'. Non ha ne tramonti da fotografare, ne dubbi da pesare. Praticamente ieri-di-qualche-mese-fa sono arrivata per la prima volta, spettinata e accaldata in Asia. Stanotte invece sono tornata a casa, sempre spettinata, e ho avuto il mio primo brivido nel deserto. Lo sapevo, che chi mi diceva che farà solo un po' di freschino più in là sottovalutava le mie doti da freddolosa incallita. 

Ma non è che la cosa mi dispiaccia. 

lunedì 14 ottobre 2013

Sunrise

Un bicchiere di latte di quinoa. Addio, soia.

Ora che non fa fresco ma si respira posso permettermi di lasciare la finestra aperta.
Il cielo a quest'ora è sempre un po' pallido-deserto, ma con i mesi sta imparando a prendere un colorito via via più rassicurante.



Sono giorni di albe, piuttosto che tramonti. Di sacrosante colazioni e cene saltate perché il sonno ha la meglio. Ma va?! Il sonno è una brutta bestia, come l'ammore. Arrivano quando tu non li vuoi. O meglio, quando non è che ci stai proprio proprio pensando, ecco. 

L'Asia è sempre più una droga, così come i noodles. Non riesco più a farne a meno. Sono talmente eretica che ormai apparecchio con le bacchette, piuttosto che con le forchette. Il Sud Africa e il Giappone continuano a essere un miraggio. 

Il jet lag sta diventando un vizio, una concessione, una coccola.
Non scrivo più, infatti, perché ho troppo sonno.

Tranne all'alba, appunto.


giovedì 5 settembre 2013

Rue de Grenelle, 7.

Gli ho dedicato gli stessi dedizione, ammirazione, battiti di cuore, attesa e sorpresa, che-bello-che-bello-sono-proprio-qui che ogni bravo-turista-come-si-deve avrebbe dedicato alla Tour Eiffel o, che so io, a Montmartre.

Arrivo a Parigi, mollo le valigie e io vado al numero sette di Rue de Grenelle, ci vediamo domani. Invece mi seguono in tre ignare dei miei capricci letterari, ma consapevoli del vino e delle frites  che li avrebbero seguiti.


Al numero di sette di Rue de Grenelle René e Paloma si sono incontrate, hanno parlato, condiviso libri, tazze di té, insicurezze, paure e la loro visione unica del mondo. Mi hanno fatto ridere da morire e sentire molto ignorante. Grazie al numero sette di rue de Grenelle ho scoperto il té, il sushi e la cultura giapponese. Ah, e di Kakuro mi sarei innamorata anche io, credo.

Al numero sette di Rue de Grenelle Muriel Barbery ha architettato un libro -anzi due- e una filosofia di vita. L' Eleganza del Riccio, un caso letterario. Estasi culinarie, molto meno mainstream, molto più leggero, un libro che chiede giustizia (leggetelo, dai - che vi fate una risata!). In ogni caso, uno stile geniale, che non smetterò mai di invidiare. L'apoteosi del buongusto, dell'ironia. Del narcisismo intellettuale e dell'ostentazione letteraria che, beata lei, si può permettere.

La conclusione di quest' unconventional Paris è che al piano terra del numero sette di Rue de Grenelle ci hanno piazzato un Prada. Ma lo sanno loro cos'è successo là sopra? Lo sanno cosa ne pensano del lusso René e Paloma? Gli avrei regalato un libro in originale, ma non l'ho trovato manco per me. Mi sono consolata con una passeggiata e un bicchiere di vino, fai due. E toh mi giro e c'è Nôtre Dame. Faccio due passi, fai quattro, mi rigiro e c'è la tour. Rendo gli omaggi dovuti e faccio la mia solita foto tutta di sbieco, come dice babbo. E da lontano, che la turista-per-bene l'ho fatta già anni fa, quando ero tutta crêpe e Amelie.














mercoledì 28 agosto 2013

Mi sembra.

Mi sembra così come me la immaginavo. 
Rossa, arancione e moka.
Anche un po' giallina.
Calda. Enorme.
Da vedere.

Mi sembra. Ma per ora è solo cresciuta in me la voglia di andarci. Come quando vedi i marcarons in vetrina ma non li compri, perchesontuttizuccheroecarie. E poi te li sogni la notte. Ma-fanno-male, dice mamma. Ma-li-voglio, dici tu.

L'Africa non mi sembra né zucchero, né carie. Anzi ci sono tutti gli zuccheri buoni della frutta. Il mango, le banane: quelli veri. Era papaya quella arancione? Non lo so, ma era molto buona. In ogni caso, lei, l'Africa, mi ha fatto lo stesso effetto dei marcarons, perché l'ho vista in vetrina.




Aeroporto, bus, albergo. Gente, tanta gente. Traffico e polvere. Per strada vendono di tutto, ma sopratutto mele e noccioline.

Ci avventuriamo per una passeggiata al fish market. Noi. Le Europee. L'attrazione del pomeriggio.
Mumbo Jumbo! Compra questo quadro, sister! L'ho fatto io e i soldi sono per i bambini orfani! Per te un prezzo speciale, sister! Torna dopo la tua passeggiata! Ciao bella, hakuna matata!
Ma allora lo dicono davvero?!
Solo se gli stai simpatico, ci spiegano.

Tramonto.
Cena. Giapponese.
Sì ho mangiato il sushi in Africa. 
Era l'unica cosa vegetariana. Sushi. Di avocado.
Siamo sempre a Dar es Salaam.
Passo e chiudo. E vado a letto.
Faccio un sogno, la mia vetrina.

Sogno di essere in un villaggio masai, non so come ci sono arrivata né perché. 
Ballano un ballo sardo, anche stavolta non so perché. E pregano che piova. 
Alla fine piove davvero e tutto diventa arancione e giallo come quando piove sabbia in Sardegna. 

Mi sveglio e c'è il gelo nella mia camera. Porto la temperatura a 26 gradi.
Sì siamo ancora a Dar es Salam. 
Io ho freddo.
Mumbo jumbo là fuori dipinge.
Chissà cosa fanno i masai.












sabato 17 agosto 2013

Kitchen

Atteggiarsi a scrittrici esperte, compagne di adolescenza e non solo, e scrivere un pezzo chiamato Kitchen alle sei della mattina.

No, è che ho i miei motivi anche io. 

E la mia cucina e l'insonnia sono le mie muse ispiratrici stavolta. Cavolo, oggi che potevo dormire un po' di più. Mammenomalechelayoshimotocè. Sì ho quasi ventotto anni e leggo ancora Banana Yoshimoto, soprattutto quando sono giù di morale.

Solo che a lei piacciono tutte le cucine, anche quelle sporche. A me no.
Con le cucine sporche io ci litigo.
Mi offendo.
Le ignoro.






La cucina sporca è la negazione di buona parte del mio tempo libero. Quello in cui ti svegli, jetlagged, e hai voglia di stare sola con il tuo tostapane. Il tè al gelsomino e la marmellata di pesche sono gli unici con cui sei in grado di comunicare. Perché non importa quanto poco rassicurante sia il tuo sguardo stamattina: loro sono sempre i più buoni.

La cucina pulita è frullato di banane e datteri a colazione, risotto ai funghi a pranzo e la vellutata di zucca per cena. Che domani provo anche a cucinare la pad thai, ignorando il fatto che senza la salsa tamarindo è come un piatto di spaghetti stracotti e poco conditi. Mannaggiame.

La cucina pulita è il mio caffè dopo pranzo che dura tipo tre ore. Silvia e Jessica mi raccontano le loro vite e i loro progetti. E io penso che nel mio prossimo giorno libero farò una torta al cocco, questa: http://www.food-t.com/2013/08/coconut-and-lime-cake-i-see-humans-but.html .Perché è vegana, mi sembra buona e ogni tanto anche io mi sento così come Agnese. I can see humans but not humanity.

Metto le news, parlano di Egitto.
Appunto.






lunedì 12 agosto 2013

Dall'altra parte del mondo.

Uno, due, tre, otto fusi orari e due valigie mi separano da casa. Dubai-Bangkok, fai un salto, fanne un altro, fai la giravolta e buongiorno Sydney. O buonanotte? Di tanto intanto mi confondo.

Una signorina gentile mi conferma: buongiorno e benvenuta in Australia. Quando dicono dall'altra parte del mondo. Mi addormento perché il mio orologio biologico si trova ancora in medioriente. Mi risveglio dopo qualche ora e mi sento quasi in colpa.


Vado a ripassare quel pochino di Sydney che qualche settimana fa ho visto in modalità bianco-e-Nero-pioggia-a-catinelle. Questa volta  è tutto così azzurro, merito del sole e di quegli occhiali instagram-friendly che mi hanno presentato Sydney in modalità x-pro con contrasto elevato. Li tolgo e a dire il vero è tutto ancora più azzurro ma li rimetto perché il sole spacca le pietre e le mie pupille. Dicono che sia inverno ma ci sono 24 gradi. Indosso con piacere una sciarpa che però dopo un po' son costretta a togliere. Tentativo di inverno-senza-se-e-senza-ma fallito. Sarà per la prossima Londra.

Dall'altra parte del mondo è tutto così alto. Gli alberi, le case. Gli uomini. Sono alti e castani e fighi. Le ragazze sono alte anche loro, vestono sportive e fanno jogging a tutte le ore come se non ci fosse un domani. Boh. Ma poi mi ricordo che sono nel futuro, e quindi è già domani nonché weekend.



Sydney mi ricorda le belle giornate in Europa, ma in formato gigante. Le spiaggie sono un po' come io mi immagino la California, immensa, muscolosa e surfeggiante. Le strade invece sono un po' come le ho viste anche a Singapore o Shanghai. Ci sono occhi a mandorla ovunque. Pad thai e sushi te li tirano sui fianchi. I grattacieli sono di casa, fanno compagnia ai laghi, alle paperelle, alle famiglie felici. Ai fighi biondeggianti, alle ragazze in tuta. Io mi diverto a fotografarli al tramonto e alla sera. Per me sono il fascino colpevole della metropoli al buio. Buonanotte. Dall'altra parte del mondo.





lunedì 29 luglio 2013

Munich I love you back-to-back

 Gli sballottamenti arabo-tedeschi degli ultimi tempi insegnano che la vita è fatta di 33 gradi. Anche in Germania. Comunque vabbe, ho chiuso un occhio perché il primo amore non si dimentica. Con l'occhio che mi è rimasto, invece, ho osservato tutto ciò che potevo in questo breve mordi-fuggi-torna-e-rimordi. E poi fuggi di nuovo.

La ventata d'aria calda che mi ha accolto fuori dal portellone d'ingresso dell'aereo parlava un tedesco stentato quasi quanto il mio. Portava più un accento arabo, o mediterraneo, a seconda delle interpretazioni. Ma i miei dubbi sull'identità della nazione in cui mi trovavo sono stati cancellati quasi immediatamente dal gentile signore dal fare mitteleuropeo che, offrendosi di farsi carico della mia valigia, mi ha accolto così: willkommen nach München. Per ben due volte in una settimana.  
Della Germania mi ricordavo più che altro Berlino. E Berlino sta alla Germania come Londra sta all'Inghilterra. Monaco invece, ti presenta la Germania più autoctona. Quella proprio biondeggiante che beve birra e mangia pretzel e bratwurst. Freut mich. Hai detto bratwurst? Continuo ad adorare un paese che mangia bratwurst a tutte le ore. Io.iBratwurst.nonlimangerei.mancomorta. Ma per le strade di Monaco li vedi appesi ovunque. Ho provato a chiudere anche l'altro occhio, sopratutto perché il sole mi accecava. Ma poi ho capito che stavo camminando dal lato sbagliato. E mi è venuta in mente Milano: tenere la destra! Solo che qui non te lo scrivono perché non ce n'è bisogno, lo sanno tutti, fa parte del senso civico cruccheggiante che nessuno ti impone perché non ce n'è bisogno. Esagerati, però.


Comunque,oltre ai bratwurst, vedi ovunque anche le more e le ciliegie. Gli apple-chips te li lanciano sui fianchi, quasi quanto la birra e non c'è acqua senza bollicine. Water with gas, danke. Ah?! Comunque Le more le ho provate ed erano buone. Le ho mangiate in un tavolo imbandito con birra, Kartoffeln Salad e bla-bal-wurst-di-mille-tipi, tra gli sguardi divertiti di certa fauna biondeggiante. Entschuldigung meine Damen und Herren, ma io alle cinque faccio merenda.

Sotto il sole di Monaco ho osservato il tram sfrecciare ordinato e la metro passare puntuale. Le ragazze andare in giro vestite da bavaresi e i bimbi fare il bagno sotto la fontana. I signori anziani diventano rossi come i lamponi che nella bancarella stavano affianco alle more. Ma questo non è solo il sole, è anche la birra. Infatti anche quei ragazzi seduti all'ombra erano color porpora.

La cassiera al supermercato mi sorride ma non si sforza minimanente di rispondermi in inglese.
Allora mi sforzo io a blaterare qualcosa.
Non sorride più, ora se la ride proprio.
Chissà che le avrò detto.

Aufwiedersehen un Danke, München.
Ailaviu.
Back-to-back.


sabato 6 luglio 2013

Deja vu.

"Ho appena avuto un deja vu". Roberta ha un dejavu mentre fuma una sigaretta e io parlo di collant. E fuori fa caldo. E l'autobus non passa. Chissà cosa eravamo nella nostra vita precedente. Di sicuro in quella attuale siamo vagabonde. Sognatrici. Vorremmo girare il mondo. Lei l'ha già fatto, io ci provo.

Sogno l'Asia, il Sudafrica e il Giappone. Perche il Giappone  è piuccheasia, dice Davide. Ma continuo a fotografare l'Europa. Pardon, l'Inghilterra. Sì proprio lei, Miss-Odi-et-Amo-atutteleoredelgiornoedellanotte. Quella da cui sono andata via incazzata e stanca e da cui sono tornata   Non più incazzata ma comunque stanca. Sembra quasi destino, nel caso in cui qualcuno ci credesse. Ho tolto i collant, ho messo i jeans e ho camminato fino a farmi venire le bolle ai piedi. Mi sono ubriacata di stanchezza per le vie di Albione, una volta ancora. Ho avuto molti deja vu.


A Manchester, sotto la pioggia, come un anno fa, ho bevuto un caffè caldo, annacquato. Ho vagato affamata per mancanza di cibo a me commestibile. Ho perso l'orientamento. L'ho ritrovato. Ho ritrovato visi conosciuti, li ho fotografati. Ho fatto shopping quasi per dovere. Perchesevaininghilterranedeviapprofittare. Le impalcature a picadilly square  sono sparite ma il pavimento bagnato  è sempre lo stesso e mi piace fotografarlo quasi come per mettere il dito nella piaga.  Dispettosa.

A Londra, invece mi son sentita piccola. Come tutte le altre volte. Come il Giappone, Londra  è piuccheinghilterra. Nonostante la pioggia e il cibo poco commestibile. Ho fotografato visi, stavolta sconosciuti. Ho fotografato anche capelli-biondi-dacarezzare. Furtivamente, che Buckingam Palace aveva già troppi riflettori puntati addosso e non mi sembrava giusto. A Picadilly circus le bici sono sempre più numerose e in metro i passeggeri sono sempre più stanchi. Dormono, perdono la loro fermata. E poi se la ridonò, per fortuna.

Ho celebrato il rito della colazione come non facevo da mesi. Ho dormito fino a farmi venire il mal di schiena. Sono ripartita. Stavolta pettinata e di buonumore.


venerdì 21 giugno 2013

Singapore, I love you back.

Se fosse un uomo, Singapore, non avrei dubbi. Perché Singapore ti vuole bene.


È stato amore a prima vista. Una vista un po' offuscata devo dire, che il jet lag e la notte insonne non sono mica roba da poco. Un amore che comunque era già nell'aria, figlio di una crescente fame d'Asia, che chi più ne ha più ne metta. Datemi un sacco di curry, tanti noodles, un po' di sushi, tutto il tè verde del mondo e portatemi in giro per l'Asia. Una fame vorace che deve adattarsi alla filosofia del mordi-e-fuggi. Come me, che devo adattarmi alla filosofia del dormi-veglia-veglia-veglia-veglia-dormi.



Comunque, Singapore. È ciò che di più umido c'è, quantomeno nei miei ricordi. 


Ma si fa perdonare con tutto il suo verde, molto verde e poco chimico. Esistono anche tutti gli altri colori. Dal grigio del cielo offuscato dal fumo delle foreste indonesiane al giallo-verde-rosso-arancio-blu-viola dei templi. Buddisti o Induisti, a piacimento. Le moschee, fannosentire la loro voce, seppur in minoranza rispetto alla mia nuova quotidianità. 




Singapore, nel mio vocabolario, lo trovi tra i sinonimi di melting pot. È Indonesia, Malesia. È China Town e Little India. Il lusso delle mall e la semplicità dei mercatini, per chi, come me è nato un po' più proletario. Singapore profuma di buono e si fa desiderare. E poi niente, il primo boccone  è come il primo rotolino di sushi. Troppo buono per masticarlo lentamente.

sabato 27 aprile 2013

Marhaba


Da una settimana circa le cose suonano più o meno così: Congratulations. You are a star.  Here you are: have some coffe. And marhaba – welcome.

Il richiamo alla preghiera nel centro commerciale. Lo stesso centro commerciale che recita ad alta voce Prada, Gucci, Vouitton. La casa sul deserto, niente attorno ma i grattacieli in lontananza. Le moschee. Le ferrari (o chi per loro). Il marciapiede che finisce all'improvviso e il taxi che ti aspetta. Ancora il marciapiede, in costruzione sopra la sabbia. Veli. Discoteche. La shisha. La l e f f e. From Brussels to Dubai with lots of love.

La città dei grattacieli, del deserto, del bianco, del nero, di tutti i colori dell'Asia e di tutti quelli della g l o b a l i z z a z i o n e. La città del vivi e lascia vivere. Ma senza allargarti troppo. Sembra davvero come la leggi nelle guide, nei blog. Esattamente come te l'ha raccontata chi c'è stato. Un via vai. Un mordi e fuggi continuo. Un p a s s a g g i o. Un cantiere aperto. Una contraddizione continua.

Gli scaffali nei supermercati mi sono amici. Molto più di quanto lo fossero in certe città occidentali. Gli autisti indiani proprio non li capisco. E certe volte la gente mi parla in arabo. Lo sto prendendo come un complimento. Marhaba. Welcome.

sabato 30 marzo 2013

Rosso


 Un periodo della mia vita che si chiama Valigia.

Dura da tipo un anno e un po' di più, tra alti e bassi. Ricercare una pseudo-routine nella tranquillità di provincia è un buon modo per organizzare la prossima fuga. Che anche fare le valigie è uno sport, che richiede allenamento. E infatti, io sono una frana, come in tutti gli sport. Da piccoli tutti erano bravi in qualche sport. Leggiadre ballerine, agili pallavoliste, insuperabili maratonete. Io ero imbattibile solo con l' hulahoop. Una cosa che praticamente non ti devi muovere. Però, non cascava mai. Continuavo ad ancheggiare per ore. Ero pelle e ossa e una massa scomposta di riccioli ribelli. Avevo l'ombelico a forma di cece. La smettevo solo quando ciò che rimaneva della mia vita dolente diventava rosso fuoco.

E comunque, appunto, la cercavo rosso fuoco la valigia, stavolta. Ma erano tutte o troppo piccole o troppo pesanti o troppo poco rosse. E quindi niente, l'ho presa blu.

Ho passato questi mesi a fare un sunto dell'ultimo anno-e-poco-più. E invece, ne è venuta fuori una digressione. Della quale non ho ancora deciso cosa eliminare e cosa sottolineare in rosso. In valigia, tutto non ci sta.

Ho fatto analisi psicologica, sociologica, etnografica ai semafori rossi. E niente, a parte quella volta che ho idealmente spogliato un tipo facendogli saltare tutti i bottoni della camicia, gli esiti sono stati sempre pessimi. Se c'è qualcosa dove il rosso mi sta proprio proprio sulle scatole sono i semafori. Metti che sono in pullman, potrei svegliarmi quando si ferma. Metti che sto in macchina e non ho voglia di ascoltare chi mi parla e finché guida posso liberamente farmi i fatti miei. Se si ferma però mi guarda in faccia. Oppure metti che sono la prima della coda e mi capita affianco il tipo e voglio spogliarlo. Ovviamente scatta il verde.

Ho sbollentato broccoli per uno, due, tre reggimenti, ho grigliato zucchine come se non ci fosse un domani. Ho frullato kiwi e banane a tutte le ore del giorno e della notte, ho sfornato muffin salati.

Ho rimandato i buoni propositi. L'arabo? La geografia? Il fondotinta, ve lo dico, non lo sopporterò mai.

Ho imparato a leggere meglio gli ingredienti degli inci. Sono come i semafori. Se è verde vai tranquilla, se è giallo stacci attenta, se è rosso mi sta sulle palle. Voglio dire, che cavolo ci metti il petrolio nella crema? Il mercurio, nel rossetto? Il silicone, nell'ombretto? Ora, se volete un consiglio spassionato, prima di comprarvi qualsiasi cosa affidatevi a http://www.biodizionario.it/. Io, ve l'ho detto.

Ho sognato di disegnare manga, scrivere libri e cucirmi vestiti su misura. Poi mi sono svegliata, ho infornato una torta e scritto una mail che non ho mai inviato.

Ho fatto ordine nel mio armadio. Sono stata brava, sto imparando a liberarmi del superfluo. Tranne del mio maglione preferito. È rosso, fa i pallini e non lo metto più da un anno ormai.





giovedì 7 marzo 2013

Tragicommedia



Sono mesi che vivo nell’attesa. Prima di tornare a casa, poi di riandarmene. Me la sono organizzata bene l’attesa, però. Ho riordinato i miei libri e pure i miei vestiti, almeno due volte. Ho fatto addirittura il cambio di stagione. Chemmenefarò, ancora non ho capito. Ma a me piace così.


Nel frattempo ho provato a fare un sunto.
Nell’ultimo anno-e qualcosa ho:




Bevuto tè e birra con mezza Europa. E stento a trarne le conclusioni
Preso treni per mezza Europa. Mi hanno conciliato il sonno e le paranoie
Mangiato. Molto bene o molto male. Ma comunque molto
Fatto e rifatto le valigie. Erano sempre troppo pesanti
Fatto shopping. Vedi sopra
Fatto foto. Con la fotocamera del  d i p l o m a
Coltivato passioni clandestine. Almeno due
Condiviso letti e confidenze. Acqua in bocca
Ballato. Sopra i tavoli o a piedi nudi
Letto più blog che libri. E non me ne compiaccio


Seduta dal dottore, per sdrammatizzare sulla natura del veleno che stava per essermi iniettato, ho riordinato le riviste. Una cosa con cui non riesco proprio a convivere è il caos intorno a me. Perché non concepisco alcuna attesa che prenda le sembianze di precarietà.



sabato 2 marzo 2013

Tweet&Shout


No ma checculo, mi sono detta qualche giorno fa    quando, svegliandomi all’alba senza un motivo preciso ho twittato, ancora una volta senza una ragione precisa, le parole di cui sopra. No ma ve lo immaginate uno che twitta e urla? Macchesfiga. Però poi in effetti ci ho pensato e a dire il vero, twitter mi sembra un po’ anche questo. Mi sembra, a volte, un covo di gente incazzata che urla. Ma davvero! Spesso e volentieri ogni tweet ha un suo bersaglio: se stessi, il mondo, la politica, un ammmmore, che sia esso tormentato, finito o mancato. Ma c’è spesso un’incazzatura di mezzo. Un’incazzatura spesso ironica, divertente e per questo piacevole da leggere. Cioè è una figata, altro che feisbuc. Voglio dire leggere la gente incazzata, depressa, annoiata su feisbuc mi fa venire il latte alle ginocchia. Perché su feisbuc non hai un limite così ristretto di caratteri e l’incazzatura in atto diventa ben articolata, noiosa e dunque illeggibile. Twitter invece rende l’incazzatura artistica. Hai 140 caratteri: devi essere un’artista. Quindi gente, twitta che ti passa. Ciao.
















domenica 17 febbraio 2013

Di gatti e frange


Sono nata con la frangia, ma non si vede. E il mio migliore amico immaginario è diventato un gatto, da quando i miei vicini, o presumibilmente i loro cani, mi hanno fatto desistere dall’idea di adottarne un altro ancora. In cima alla mia wishlist delle cose-praticamente-impossibili-da-fare/avere-assolutamente-primaopoi non ci sono crocere/uomini-strafighi/tacchi-vertiginosi/autografi-di-chicchessia. Ci sono una frangia e un gatto.

La storia della mia vita è una storia di amore e odio per i miei capelli. Li ho sempre odiati e amati alla follia, senza vie di mezzo, senza pacifiche convivenze. Da piccola li odiavo e punto. Soprattutto quando chi-per-me decideva che quel giorno avrei dovuto avere la cipollina-patatina-pucci-pucci-miao-miao. Maccheddolore, limortaccitua! Da adolescente ero l’anti-volume per eccellenza. Non esisteva capello sciolto che non fosse ingelato, spumato o quello che vuoi. E la riga in mezzo, mi raccomando. Solo quando hanno minacciato la metamorfosi definitiva ribellandosi ai 210 gradi a cui ho deciso un giorno di sottoporli, ho iniziato ad amarli sul serio. Come quei maschiacci che ti stracciano e poi tornano quando tu invece te ne vai. Ecco, io sono tornata e loro mi hanno perdonata, dopo tipo un anno di fedeltà incondizionata. Però il mio sogno proibito, rimarrà sempre la frangia, di quelle belle folte e non a mezza fronte, grazie. Di quelle che la parrucchiera mi compatisce sorridendo ogni volta che ma-sei-sicura-che-non-ci-possiamo-fare-nulla?Di quelle che quando fa freddo ti coprono e quando fa caldo soccazzitua. Di quelle che ti nascondono il brufolo figlio della serata-film-cibo-spazzatura appena trascorsa, per intenderci.

Per il gatto, invece, credo di poterci fare qualcosa in più. Non per ora e non per un bel po’, forse. Ma prima o poi, magari. Di gatti ne ho avuti, più di uno. E sono sempre spariti, tutti. Quindi ho deciso di smettere. Ma coi mici condivido parecchie cose. Peccati di gola, accidia, pigrizia ci accomunano. Perdiamo peli-capelli ovunque e con grande orgoglio. Ci facciamo amare o odiare - spesso odiare. A volte, graffierei pure in faccia alla gente che mi sta antipatica come i gatti, se solo avessi le unghie. Con i gatti ci convivo pure bene perché il mio spezzatino glielo lascio tutto. Ci piacciono i grattini e facciamo le fusa al cuscino con molto piacere. Ma il cane del vicino non era d’accordo. A fra qualche casa, quindi. E buona giornata mondiale del gatto.


venerdì 8 febbraio 2013

L’EKeganza dei ricci


We are please to inform you that we have obtained the final approval on your application. E poi l’errore di battitura in chat, che mi da l’idea malefica. L’EKeganza dei ricci. I ricci. Dei miei ricci che ne sarà, con tutti quegli chignon? E il rosso? Il rosso mi donerà? Il ros-set-to rosso. Il fondo-tinta. Please put some concealer on, mi raccomando. Ho già idealmente speso i miei primi due e forse tre stipendi. Caro kindle, tu sarai il primo. Avrò una nuova macchina fotografica finalmente. E no, non ci fotograferò me stessa riflessa allo specchio. Avrò un lavoro, capito? La-vo-ro. E girerò il mondo. Il mon-do. Vedrò il mondo in modalità mordi-e-fuggi. Ma comunque lo vedrò.

Pensieri random mi affliggono più del solito. Mi addormento sempre più tardi o se mi addormento presto mi sveglio nel cuore della notte. Felice, entusiasta, impaziente. Preoccupata. A volte, molto preoccupata. Ma comunque va bene. È una sensazione me.ra.vi.glio.sa. Hai presente quando vai sottacqua e tocchi il fondo. Poi lentamente risali in superficie e i polmoni vogliono scoppiare. Apri la bocca e respiri. Non scoppiano. Ecco, io ora sto così. Sono stata sottacqua per un po’, mi stavo dimenticando di respirare. E sapete già che succede a non respirare.

Comunque, devo imparare a fare molte cose, da qui ad aprile. La geografia, devo ripassarla. Devo dimenticare il brummie e rispolverare un inglese più decente. I miei capelli, devo imparare a domarli in chignon perfetti. Devo abituarmi a stendere bene il fondotinta e trovare il mascara della mia vita. Devo imparare a non avere orari e in questo la mia insonnia mi aiuta. Mi è addirittura venuto in mente di provare a cimentarmi in arabo. Ma questo non sono obbligata a farlo. La cosa più difficile: devo abituarmi a usare i collant trasparenti. Al caldo, al freddo. Sempre. Addio calze nere, è stato bello. E in valigia vi metterò comunque.


lunedì 4 febbraio 2013

Chocolat Chaud. E arancia.


Mannaggia a quella maschera viso. Melamangerei. Ma purtroppo la certificazione Peta non è garanzia di commestibilità. Mannaggia all’attesa, alle visite, ai vaccini. Ma alla fine ben vengano pure. Perché, senti come suona bene: va-do-a-vi-ve-re-a-du-bai. Mannaggia al gin lemon che fa ingrassare, ma se avessi un bancone qui, ora, uno lo vorrei. Mannaggia mannaggia manngaggia al carnevale. Però in effetti, guarda come sembra faigo sto duemilatredici-mascherato-da-futuro. Per ora. Mannaggia ai saldi al settanta percento se praticamente non c’è più nulla da saldare. Mannaggia, ma quante persone faighe ho già conosciuto quest’anno? Aspetta, che mi tocco le tette. Non può essere tutto vero. Mannaggia al mio nuovo workout, mi fa male tutto e cammino come gli zombie che hanno perso ogni speranza di resurrezione. Però, no pain no game. Mannaggia a me e ai miei nonsense. Ma, proprio, non posso farne a meno. Vado a togliermi la maschera, che comincia a pizzicare. 

domenica 20 gennaio 2013

Vegan Baking


I must admit I’m always kind of afraid when I bake something which is going to be vegan. Because I am very bad at vegan baking. Give me some lentils and I’ll make you a pretty tasty lunch. Give me some chickpeas and you’ll enjoy your dinner. Give me some flour, sugar, soymilk and baking powder and I’ll make a disaster. Anyway, it seems this time I did it. And everybody is still breathing.



I rarely plan to bake something vegan. It’s just a matter of madness, such as writing indeed. I just go nuts and bake something vegan. Here and now, cause I feel like doing it. And so I did yesterday, during a boring-raining-Saturday-afternoon. After a week-long job-hunting-waiting-game (this is the biggest nonsense ever, but I still love writing nonsenses) which resulted in another-two-or-three-or-four-or-five-and-maybe-six-weeks-long-waiting-game (told you I love it!!!) I decided I was sick and tired to wait and I opened my fridge in search of I-don’t-know-what. And I found inspiration. Carrots. And then I thought ai em crezi, oh yes ai em. I put on Tinariwen and mixed few things together. Flour, cane sugar, c  a  r  r  o  t  s , soy yogurt, vanilla, baking powder. And oil. Olive oil.

After an hour or so I just found out my crazy tryout was standing on the table. Yes: the-cake-is-on-the-table. And I’ll probably have my breakfast ready for the rest of the week. That’s all. And this is probably not going to happen again. Because my vegan cakes usually don’t like standing. Goodnight.

Italian translation: ho fatto la figa, ho postato in inglese. Potrei tradurre, ma non c’ho voglia. Anche perché c’è ben poco da tradurre. In sintesi: ho fatto la torta Camilla, vegana e a forma di ciambella. È rimasta in piedi e sono ancora tutti vivi. Una notiziona, lo so. Buonanotte. 

giovedì 17 gennaio 2013

Sushi.



È come fare un’indigestione di: orsetti-gommosi-quando-eri-bambina (oravelilasciotutti -sapestedicosasonofatti), musica figa (nonentronelmerito), libri belli (avoilascelta) e tutto-quello-che-mi-piace. Insomma l’apoteosi del gusto. Di quel gusto che nutre e appaga, però, non solo le papille gustative. Ma io l’ho scoperto solo da poco.

Segnali chiari li ebbi in realtà anni fa, quando provai per la prima volta –apprezzandolo parecchio- il sushi, salvo poi abbandonarlo dandomi alla tempura, per una scelta da molti definita masochista (ma-come-fai-a-privartene-se-ti-piace), da altri esagerata (epperò-dai-almeno-ogni-tanto) e da me semplicemente scelta. Il sushi mi piacque assai, comunque. E, fino a poco tempo fa, ha vissuto nei miei ricordi come un cibo raffinato, di quella raffinatezza finta e proibita di cui godono nei miei ideali molte altre cose solo apparentemente fighe: una per tutte, i mille ombretti scriventi di marche per me eticamente impronunciabili. Che se solo non portassero quel nome e millemila litri di paraffina al loro interno potrebbero godere di un posto privilegiato all’interno del mio beauty.

Comunque, per fortuna, una mente di certo più brillante della mia, mi ha fatto recentemente scoprire che il sushi non sembra figo. Il sushi è figo. E non perché ormai tutti lo mangiano destreggiandosi alla perfezione tra il tintinnìo delle bacchettine e le pagine di Murakami. Ma perché ciò che rendeva quella raffinatezza una raffinatezza a me proibita non è il fulcro del suo gusto. Insomma, io, come credo la maggior parte del mondo, il sushi senza pesce proprio non me lo immaginavo. E invece no. Lode dunque all’alga Nori che ha restituito alle mie papille gustative la vera essenza di un piatto da me ormai catalogato come buono-ma-stronzo. Amen.