martedì 18 settembre 2012

La mattina di fianco al tè i piatti brillano


Ogni mattina, alle sette e mezzo in punto, una tazza di tè fuma sul granito nero della mia molto provvisoria dimora. Il té alla mattina lo faccio sempre solo io, ma quello delle sette e mezzo non è per me. Nonostante ciò e nonostante la ciclicità che la mia condizione cenerentolesca, anche se ben poco fiabesca, impone al rito, fare il té è l’unica cosa che riesce a riconferirmi almeno un accenno della vitalità che costantemente perdo, al primo starnuto, ogni volta che metto piede sulla moquette polverosa. Fare il tè alla mattina, oltre a sturarmi le narici, le impregna di una fragranza che imperterrita mi costringe a svegliarmi e pensare che poi non è tutto così male. Il tè, aldilà del colore dell’etichetta e della sua dicitura, ha il profumo del benessere e un colore caldo che se la ride del cielo grigio là fuori, almeno finché qualcuno non mi chiede di metterci dentro il latte, sfidando doppiamente il mio crescente orgoglio dairy-free e la semplicità di una bevanda che non chiede trucchi o imbelletti. Mi concentro, senza pensarci, sulla scia di colore che si diffonde e che mi distrae dal nero inquietante del granito che mi circonda, dalla mia immagine, forse altrettanto inquietante, che vi si riflette, e dai piatti che con la loro luce chimica e costruita se la tirano vanamente al ritmo di guardare-ma-non-toccare. La magia finisce quando da dietro sento borbottare tea is ready, we gotta hurry up.