mercoledì 25 maggio 2011

Milanomordiefuggi

La trombetta auto celebrativa di Ryanair  è il secondo trauma della giornata, quasi a pari merito con la sveglia che, inamovibile, ha suonato puntuale alle 5.30. E poi aereo e no, il caffè non lo voglio e nemmeno il gratta-e-vinci, trombetta, pullman, afa e traffico. Talmente tanto che mi addormento, alla faccia della sveglia.
Mi sveglio e c’è il sole! C’è proprio il sole. Mi avevano detto che a Milano non c’è mai il sole e che quando c’è non si vede. E invece c’è il sole e si vede. C’è il sole in mezzo a un cielo che cerca inutilmente di diventare azzurro. Però il sole c’è, si vede, ma soprattutto si sente. Fa caldusc, mi sento borbottare alle spalle da una signora in perfetto stile tziodda-casteddaia-di-Castello e quasi mi sento a casa, non fosse per l’accento e non fosse che mi giro e vedo che quello là in fondo non accenna a cambiare direzione. E corre troppo. Ma che fa, mi sta venendo addos… Tenere la destra! Tenereladestra, l’imperativo di Milano. A Milano devi sempre tenere la destra, anzi tenereladestra ( ai seggi volendo anche no eh! – ndr) o correre. Se stai a sinistra con ritmi sardeggianti sei fuori. Dunque, tenendo la destra e ignara di chi ha voglia di correre, vado ad assaggiare Milano, che poi devo fuggire.


La rossa, la verde, la gialla. La gialla. Tre fermate, o forse quattro, e poi il Duomo, la Scala e il Castello in una sequenza inevitabile e veloce, che tanto-domani-qui-ci-torno. E nel frattempo gambe ovunque, gente, occhiali, caldo, caldo, caldo. Sento italiano, tedesco, inglese, giapponese, arabo, molto arabo. Maguardacomecorremilano! Piccioni, piccioni ovunque, non tengono la destra loro, mi volano davanti, mi scanso e qualcuno ha avuto la mia stessa idea nello stesso mezzo metro, quasi ci uccidiamo, ci guardiamo, ridiamo, riprendiamo a camminare. Lui a destra, io dove mi capita. Caldo, sempre caldo, troppo caldo e il sole c’è, si vede ancora e si sente sempre di più. Autobus, filobus, taxi e ventiquattrore, tutti in perfetto orario e tutti che corrono. Mamme, bambini e palloncini. Biciclette, caschi e occhiali da sole. Pubblicità, appuntamenti e manifesti di campagna elettorale. Campagna elettorale. Campagna Elettorale. CAMPAGNA ELETTORALE. Milanosiamonelletuemani, mi dico.

Inconsapevolmente inizio a correre anche io ma me ne accorgo e decido di smetterla e sedermi. Scusasaichemezzodevoprendereperarrivareacairoli? Come scusa? Hodettosaichemezzodevoprendereperarrivareacairolinoperchésonounpoinritardo? Oh ma qui parlano come corrono? E chissà come mangiano allora. Comunque purtroppo non lo so. Vabinegrasieciao.

Nonostante i miei piedi mi implorino di stare seduta mi rialzo. Linea rossa, passa tra un minuto, che non fa in tempo a trascorrere, ma all’ora di punta è la scelta più sbagliata che potessi fare. Duomo, Corduso, Cairoli. Ah ecco che mezzo doveva prendere! Uruguay, Bonola, San Leonardo, Molino Dorino daquestopuntononsiapplicapiùlatariffaurbana, Pero, visi conosciuti, sorrisi, un abbraccio e la pasta al pomodoro. E poi indietro, Cairoli, Corduso, Duomo, San Babila e di nuovo gente, taxi, occhiali, ventiquattrore, piccioni, e ancora visi conosciuti, maguardacomèpiccoloilmondo. Zara, Motivi, Bershka, H&M, nonguardare, nonguardare, nonguardare, ho detto di non guardare, eddai, per favore. Emmenomalechenondovevocomprareniente. Linea rossa, Gorla, Precotto, Villa San Giovanni, Sesto Marelli, ma che è, dove sono, è un altro mondo, la gente cammina piano e anche a sinistra. Ho sonno, ho fame, è tardi e domani c’è l’esame. Esame, esame, ommioddio questo esame, maperchéancoranonfinisce. Ordine di grandezza, percentuali, punti percentuali e stime, machevuoichenesappia sono una schiappa in matematica, lo dico sempre.

Acqua, datemi acqua. Tutto bene signorina? Sì, tutto bene. Villa San Giovanni, Precotto, Gorla, Rovereto, San Babila, Duomo. Telavevodettochecitornavo. Scatto una foto e mi dico che ci tornerò ancora, la prossima volta però. Autobus, traffico, molto traffico, aereo, trombetta e poi l’otto. Parte tra dieci minuti, mica come la linea rossa.

martedì 17 maggio 2011

Anestesia culinaria

Un conto è l’influenza. Un conto è che ti devi chiudere in casa, che hai pure la scusa per non impegnarti a fare nulla di particolarmente costruttivo a livello intellettuale. E passino pure i weekend da brava pantofolaia, che alla fine non sono poi questo gran danno. E si può anche giustificare che ti dia sembianze credibili solo per andare a mettere la tua sacrosanta e indiscussa croce su quella benedettissima scheda e per passare in farmacia nel flebile tentativo di ridurre al minimo le restanti giornate dal sapore decisamente larvatico. Ma le larve non si dilettano in cucina. E soprattutto non si consolano con il cibo.
E invece no. Io l’ho fatto, golosamente e deliziosamente questo weekend.
Per un caso tanto curioso quanto fortunato il mio appetito etico e da buona-vegetariana-sempre-più-convinta-e-felice rimane pressoché invariato nei giorni di buona e relativamente cattiva (relativamente ho detto!) salute. E menomale, saiccheppalle stare a casa e non aver nemmeno voglia di mangiare!
 
Ed è così che in un attimo di appetitosa lucidità farina, zucchero, cacao, cocco, lievito, olio e latte sono finiti prima in una terrina e poi, dopo un rapido abbraccio collettivo che ha lasciato fuori le uova, in forno. Forse un po’ più del tempo dovuto. Macchissenefrega, tanto me la devo magnare io. E poi, come dice Sua Maestà la Barbery il punto non è mangiare, né vivere, ma sapere perché. E io il perché lo sapevo benissimo, eccome se lo sapevo. Nel nome del padre, del figlio e del bigné.

Infatti, non soddisfatta del mio primo sforzo culinario, che evidentemente non ha risposto a tutti i miei perché, ho continuato a infierire convertendomi al salato. È stata la volta di due povere zucchine finite in padella circondate da una schiera di ceci e inondate da uno tsunami di chili. Alla faccia di chi dice che i vegetariani mangiano noioso, ho pensato. Se avessi avuto (e voluto) un pollo da mettere in forno non avrei mai pensato a una simile etnicizzazione della mia cucina, credo. Ecco perché.

 Inoltre, come contorno, in questo mio debole flusso di creatività, ho pure domato i miei riccioli a una temperatura di 170 gradi e wow!! Per una volta mi sono davvero piaciuta con la mia chioma alternativa e piatta, che ho potuto molto narcisisticamente sfoggiare alle mie pietanze, alle pagine del mio nuovo libro e a quei pochi sfortunati che hanno potuto apprezzarmi in tutta la mia convalescenza pigra, frivola e gustosa. 



venerdì 6 maggio 2011

Brainstorming, flusso di coscienza o quello che vuoi

A parte oggi, e forse anche domani. Aldilà della routine, che a me personalmente piace. Se è quella giusta, intendo. E a patto di cambiarla di tanto in tanto. Nonostante oggi la mia voce abbia tremato, e un po’ anche le mie gambe. Nonostante io abbia sorriso, anche se con gli occhiali da sole. Aldilà del lavoro, quello occasionale e quello che vorrei. A parte il borbottare continuo qua fuori, che per fortuna però domani me ne vado. A parte anche che domani probabilmente finirò il libro che ho qua affianco e che sicuramente sentirò un po’ di vuoto, perché ogni volta e così. Oltre al fatto che mi devo alzare presto, vedere gente che non mi piace e indossare scarpe scomode. Per fortuna però domani è sabato e domenica ci sono anche i monumenti aperti. E me li vado pure a vedere. Anche se sta arrivando l’estate e la cosa non mi interessa particolarmente. Magari però il prossimo autunno non tarderà ad arrivare o magari me lo andrò a cercare io. Magari imparerò meglio anche l’inglese. E il tedesco. E se c’è tempo studierò un po’ di francese. A parte il silenzio, quello che ogni tanto vorrei e quello che oggi ho visto materializzarsi, pieno di vergogna, davanti ai miei occhi. Sarà anche che il tempo passa e che la gente spesso non cambia. I coglioni soprattutto. Nonostante tutti i caffè di oggi. E la cioccolata e le pizzette. Per non parlare di quelle di domani, che sono già pronte sul tavolo. Grazie mamma. Al di là del fatto che la pace nel mondo è un’utopia. Ma siamo noi a renderla tale. Nonostante la mia laurea, e il tirocinio, e l’Erasmus. Nonostante le opportunità, forse troppo poche o forse ben nascoste. Nonostante i culi e le tette che governano il mondo, o quantomeno l’Italia. Nonostante il disegno di quei bambini alla fiera che dice “io non ci casco”. Non tutti la pensano così, purtroppo. Nonostante l’autoironia e la comicità. Anche la malinconia però ha il suo fascino.