Sono nata con la frangia, ma non
si vede. E il mio migliore amico immaginario è diventato un gatto, da quando i
miei vicini, o presumibilmente i loro cani, mi hanno fatto desistere dall’idea
di adottarne un altro ancora. In cima alla mia wishlist delle cose-praticamente-impossibili-da-fare/avere-assolutamente-primaopoi
non ci sono
crocere/uomini-strafighi/tacchi-vertiginosi/autografi-di-chicchessia. Ci sono
una frangia e un gatto.
La storia della mia vita è una
storia di amore e odio per i miei capelli. Li ho sempre odiati e amati alla
follia, senza vie di mezzo, senza pacifiche convivenze. Da piccola li odiavo e
punto. Soprattutto quando chi-per-me decideva che quel giorno avrei dovuto
avere la cipollina-patatina-pucci-pucci-miao-miao. Maccheddolore,
limortaccitua! Da adolescente ero l’anti-volume per eccellenza. Non esisteva
capello sciolto che non fosse ingelato, spumato o quello che vuoi. E la riga in
mezzo, mi raccomando. Solo quando hanno minacciato la metamorfosi definitiva ribellandosi
ai 210 gradi a cui ho deciso un giorno di sottoporli, ho iniziato ad amarli sul
serio. Come quei maschiacci che ti stracciano e poi tornano quando tu invece te
ne vai. Ecco, io sono tornata e loro mi hanno perdonata, dopo tipo un anno di
fedeltà incondizionata. Però il mio sogno proibito, rimarrà sempre la frangia,
di quelle belle folte e non a mezza fronte, grazie. Di quelle che la
parrucchiera mi compatisce sorridendo ogni volta che ma-sei-sicura-che-non-ci-possiamo-fare-nulla?Di quelle che quando
fa freddo ti coprono e quando fa caldo soccazzitua. Di quelle che ti nascondono
il brufolo figlio della serata-film-cibo-spazzatura appena trascorsa, per
intenderci.