venerdì 21 giugno 2013

Singapore, I love you back.

Se fosse un uomo, Singapore, non avrei dubbi. Perché Singapore ti vuole bene.


È stato amore a prima vista. Una vista un po' offuscata devo dire, che il jet lag e la notte insonne non sono mica roba da poco. Un amore che comunque era già nell'aria, figlio di una crescente fame d'Asia, che chi più ne ha più ne metta. Datemi un sacco di curry, tanti noodles, un po' di sushi, tutto il tè verde del mondo e portatemi in giro per l'Asia. Una fame vorace che deve adattarsi alla filosofia del mordi-e-fuggi. Come me, che devo adattarmi alla filosofia del dormi-veglia-veglia-veglia-veglia-dormi.



Comunque, Singapore. È ciò che di più umido c'è, quantomeno nei miei ricordi. 


Ma si fa perdonare con tutto il suo verde, molto verde e poco chimico. Esistono anche tutti gli altri colori. Dal grigio del cielo offuscato dal fumo delle foreste indonesiane al giallo-verde-rosso-arancio-blu-viola dei templi. Buddisti o Induisti, a piacimento. Le moschee, fannosentire la loro voce, seppur in minoranza rispetto alla mia nuova quotidianità. 




Singapore, nel mio vocabolario, lo trovi tra i sinonimi di melting pot. È Indonesia, Malesia. È China Town e Little India. Il lusso delle mall e la semplicità dei mercatini, per chi, come me è nato un po' più proletario. Singapore profuma di buono e si fa desiderare. E poi niente, il primo boccone  è come il primo rotolino di sushi. Troppo buono per masticarlo lentamente.

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