sabato 30 marzo 2013

Rosso


 Un periodo della mia vita che si chiama Valigia.

Dura da tipo un anno e un po' di più, tra alti e bassi. Ricercare una pseudo-routine nella tranquillità di provincia è un buon modo per organizzare la prossima fuga. Che anche fare le valigie è uno sport, che richiede allenamento. E infatti, io sono una frana, come in tutti gli sport. Da piccoli tutti erano bravi in qualche sport. Leggiadre ballerine, agili pallavoliste, insuperabili maratonete. Io ero imbattibile solo con l' hulahoop. Una cosa che praticamente non ti devi muovere. Però, non cascava mai. Continuavo ad ancheggiare per ore. Ero pelle e ossa e una massa scomposta di riccioli ribelli. Avevo l'ombelico a forma di cece. La smettevo solo quando ciò che rimaneva della mia vita dolente diventava rosso fuoco.

E comunque, appunto, la cercavo rosso fuoco la valigia, stavolta. Ma erano tutte o troppo piccole o troppo pesanti o troppo poco rosse. E quindi niente, l'ho presa blu.

Ho passato questi mesi a fare un sunto dell'ultimo anno-e-poco-più. E invece, ne è venuta fuori una digressione. Della quale non ho ancora deciso cosa eliminare e cosa sottolineare in rosso. In valigia, tutto non ci sta.

Ho fatto analisi psicologica, sociologica, etnografica ai semafori rossi. E niente, a parte quella volta che ho idealmente spogliato un tipo facendogli saltare tutti i bottoni della camicia, gli esiti sono stati sempre pessimi. Se c'è qualcosa dove il rosso mi sta proprio proprio sulle scatole sono i semafori. Metti che sono in pullman, potrei svegliarmi quando si ferma. Metti che sto in macchina e non ho voglia di ascoltare chi mi parla e finché guida posso liberamente farmi i fatti miei. Se si ferma però mi guarda in faccia. Oppure metti che sono la prima della coda e mi capita affianco il tipo e voglio spogliarlo. Ovviamente scatta il verde.

Ho sbollentato broccoli per uno, due, tre reggimenti, ho grigliato zucchine come se non ci fosse un domani. Ho frullato kiwi e banane a tutte le ore del giorno e della notte, ho sfornato muffin salati.

Ho rimandato i buoni propositi. L'arabo? La geografia? Il fondotinta, ve lo dico, non lo sopporterò mai.

Ho imparato a leggere meglio gli ingredienti degli inci. Sono come i semafori. Se è verde vai tranquilla, se è giallo stacci attenta, se è rosso mi sta sulle palle. Voglio dire, che cavolo ci metti il petrolio nella crema? Il mercurio, nel rossetto? Il silicone, nell'ombretto? Ora, se volete un consiglio spassionato, prima di comprarvi qualsiasi cosa affidatevi a http://www.biodizionario.it/. Io, ve l'ho detto.

Ho sognato di disegnare manga, scrivere libri e cucirmi vestiti su misura. Poi mi sono svegliata, ho infornato una torta e scritto una mail che non ho mai inviato.

Ho fatto ordine nel mio armadio. Sono stata brava, sto imparando a liberarmi del superfluo. Tranne del mio maglione preferito. È rosso, fa i pallini e non lo metto più da un anno ormai.





giovedì 7 marzo 2013

Tragicommedia



Sono mesi che vivo nell’attesa. Prima di tornare a casa, poi di riandarmene. Me la sono organizzata bene l’attesa, però. Ho riordinato i miei libri e pure i miei vestiti, almeno due volte. Ho fatto addirittura il cambio di stagione. Chemmenefarò, ancora non ho capito. Ma a me piace così.


Nel frattempo ho provato a fare un sunto.
Nell’ultimo anno-e qualcosa ho:




Bevuto tè e birra con mezza Europa. E stento a trarne le conclusioni
Preso treni per mezza Europa. Mi hanno conciliato il sonno e le paranoie
Mangiato. Molto bene o molto male. Ma comunque molto
Fatto e rifatto le valigie. Erano sempre troppo pesanti
Fatto shopping. Vedi sopra
Fatto foto. Con la fotocamera del  d i p l o m a
Coltivato passioni clandestine. Almeno due
Condiviso letti e confidenze. Acqua in bocca
Ballato. Sopra i tavoli o a piedi nudi
Letto più blog che libri. E non me ne compiaccio


Seduta dal dottore, per sdrammatizzare sulla natura del veleno che stava per essermi iniettato, ho riordinato le riviste. Una cosa con cui non riesco proprio a convivere è il caos intorno a me. Perché non concepisco alcuna attesa che prenda le sembianze di precarietà.



sabato 2 marzo 2013

Tweet&Shout


No ma checculo, mi sono detta qualche giorno fa    quando, svegliandomi all’alba senza un motivo preciso ho twittato, ancora una volta senza una ragione precisa, le parole di cui sopra. No ma ve lo immaginate uno che twitta e urla? Macchesfiga. Però poi in effetti ci ho pensato e a dire il vero, twitter mi sembra un po’ anche questo. Mi sembra, a volte, un covo di gente incazzata che urla. Ma davvero! Spesso e volentieri ogni tweet ha un suo bersaglio: se stessi, il mondo, la politica, un ammmmore, che sia esso tormentato, finito o mancato. Ma c’è spesso un’incazzatura di mezzo. Un’incazzatura spesso ironica, divertente e per questo piacevole da leggere. Cioè è una figata, altro che feisbuc. Voglio dire leggere la gente incazzata, depressa, annoiata su feisbuc mi fa venire il latte alle ginocchia. Perché su feisbuc non hai un limite così ristretto di caratteri e l’incazzatura in atto diventa ben articolata, noiosa e dunque illeggibile. Twitter invece rende l’incazzatura artistica. Hai 140 caratteri: devi essere un’artista. Quindi gente, twitta che ti passa. Ciao.